Da procuratore a imprenditore e lo sviluppo delle attività regolatorie
Qualche giorno fa, durante una call conference con una ditta farmaceutica, in difficoltà nel far comprendere alcuni aspetti di una particolare normativa europea, non ho potuto fare a meno di tornare con la mente a trent’anni fa, quando questa mia avventura nel settore dei servizi regolatori è cominciata.
Oggi, per seguire dovutamente il mercato nazionale e internazionale di medicinali, biocidi, dispositivi medici, integratori alimentari e cosmetici, ci vogliono approfondite conoscenze, sia delle normative, ma anche della chimica, della farmacologia e di altre specifiche discipline.
Un lavoro che, almeno nel mio caso, impiega oltre 40 persone con differenti lauree specialistiche in ambito tecnico-scientifico. Durante la nostra audio-conferenza, ad esempio, eravamo in cinque: due chimici e un biologo, dalla parte nostra, e un tecnico di laboratorio e un amministrativo dall’altro capo del telefono.
Trent’anni fa mi sarebbe bastata una segretaria per rispondere alle domande dei clienti.
Allora avevo come ufficio un appartamento di tre stanze e due-tre collaboratori fidati, il cui lavoro era per lo più di natura burocratica: raccogliere la documentazione per l’immissione in commercio di un farmaco, o di qualche prodotto di quelli sopra citati, controllare che fosse tutta quella richiesta e presentarla in modo conforme alle Autorità competenti.
In alcuni casi non era necessario conoscere il contenuto di quella documentazione in quanto il nostro lavoro era essenzialmente un lavoro di tramite: eravamo “procuratori”.
Il tipo di domande cui dovevamo rispondere era: chi e quando. A chi presentare i documenti e quali sarebbero stati i tempi di approvazione. Dovevamo soltanto portare le richieste documentate agli uffici ministeriali, ritirare provvedimenti e decreti, e vigilare perché tali documenti non rimanessero tra le scartoffie di qualche funzionario.
Non vorrei che passasse la sensazione che le conoscenze tecniche non fossero necessarie. Erano certamente utili in alcuni casi, ma per lo più i dossier, in verità molto scarni, ci pervenivano il più delle volte già predisposti dall’azienda.
Redigere un dossier, 20-30 anni fa, era abbastanza semplice, perché le richieste documentali non erano molte.
Poi, pian piano, le cose sono cambiate e le richieste delle autorità preposte sono diventate più accurate e restrittive, grazie specialmente alle nuove normative europee, che imponevano differenti livelli di strutturazione dei dossier e la necessità di redigere documentazione in modo più accurato e argomentato.
Inutile dire che i procuratori, abituati a non preoccuparsi troppo dei contenuti, vivevano con apprensione l’avvento di queste grosse e rivoluzionarie novità, che in un certo senso li costringevano a preoccuparsi del “come”.
Cosa succede e cosa c’è da fare
Per me è stato diverso: non c’è stata preoccupazione, ma piuttosto, direi, entusiasmo.
Vengo da una formazione scientifica e psicoanalitica al contempo e sono dunque abituato a relazionarmi con le novità con un duplice atteggiamento: pragmatico da un lato e positivo dall’altro.
Credo che le novità siano qualcosa da affrontare con l’entusiasmo del “vediamo che cosa succede” e con la praticità del “vediamo che cosa c’è da fare”.
Quindi, non ho potuto far altro che “accogliere” il cambiamento in atto come una grande possibilità di lavoro; un lavoro sicuramente più complesso, ma decisamente meno frustrante.
Ho capito quasi subito che le aziende non avrebbero potuto, o voluto, dedicare troppe risorse allo sviluppo e alla preparazione dei propri dipendenti e che dunque avrebbero dovuto rivolgersi ad esperti esterni.
Lo avevo già constatato quando lavoravo in Farmindustria: i tecnici delle aziende farmaceutiche, sapendo che avevo una preparazione chimica, mi chiamavano in continuazione per conoscere il mio parere su alcuni passi delle normative sanitarie, e mi chiedevano quale ne sarebbe stato l’impatto sulla loro attività.
Dediti come erano ad aspetti parziali e specifici del loro lavoro, non avevano tempo per comprendere i nuovi sviluppi normativi e le implicazioni che avrebbero comportato.
Ma quando dico che ho capito subito le esigenze dei tempi, lo dico forse con l’estrema consapevolezza che ho acquisito oggi, dopo che l’esito di alcune mie decisioni è stato confermato negli anni.
Forse allora non si è trattato di una comprensione così lucida, ma di un’intuizione – fortunatamente felice – sicuramente agevolata dalla mia buona disposizione al cambiamento. Se fossi stato resistente al nuovo, probabilmente sarei finito nel novero di coloro che sono stati schiacciati dalla concorrenza del mercato.
Il mercato farmaceutico
Troppo spesso si parla di mercato come se fosse un mostro egoista, che tutto fagocita, senza consapevolezza alcuna delle vicende umane. Personalmente credo che il mercato sia più simile alla “selezione naturale” di Charles Darwin e che la differenza tra un mostro fagocitante e una molla al cambiamento e al miglioramento la faccia la disposizione interiore dei singoli, di coloro che nel mercato operano.
Non sono un benefattore, ma ho sempre cercato di essere un innovatore e di operare, nel rapporto con coloro che lavorano con me, con estrema correttezza, perché una felicità condivisa produce sempre frutti migliori di una felicità usurpata.
Quello che è accaduto da trent’anni a questa parte, nel campo medico-farmaceutico, può essere paragonato a una rivoluzione copernicana o all’effetto dirompente della relatività di Einstein: i risultati sono eclatanti, tanto da spazzare via tutto ciò che c’era prima, ma il loro raggiungimento è lento e progressivo, si radica all’interno degli usi e costumi e del nostro modo di pensare giorno dopo giorno, attraverso il fare.
Bisogna avere la capacità, l’onestà e il coraggio di ridiscutere le conoscenze acquisite e di spezzare le consuetudini e le abitudini. Perché altrimenti il rischio è quello di aggrapparsi a uno scoglio, come un naufrago, mentre intorno il mondo cambia. È una lezione che ho appreso con la teoria quantistica: non esistono punti di riferimento, ma processi in divenire, inattesi.
Di questo dinamismo la maggior parte delle persone non ne ha consapevolezza; sono persone che vivono sull’onda di ciò che si muove, ma ne sono prigionieri. Puntano con caparbietà al raggiungimento di una vetta, ma non si accorgono che lo sviluppo non è più verticale, ma orizzontale: ci si sviluppa per progressiva occupazione degli spazi, intorno a noi, non sopra di noi.
È una regola che ho applicato con profitto anche alla mia attività regolatoria: differenziare, allargarsi all’estero e ad altre attività affini, sperimentare nuovi approcci. Tutto avviene per vie orizzontali. L’intento non è primeggiare, ma espandersi, nella conoscenza come nel lavoro.
Ecco perché nella nostra attività non c’è modo di fermarsi e godere dei frutti raccolti. Se si vuole andare avanti occorre stare al passo con i tempi e con il cambiamento.
Si tratta di un lavoro avvincente, che giorno dopo giorno, ci costringe – a me e ai miei collaboratori – a confrontarci con dimensioni molto complesse, ma affascinanti come ogni sfida che si rispetti: lo sviluppo tecnologico, quello culturale, la globalizzazione, la nascita e la maturazione della Unione Europea, con le sue leggi e i suoi orizzonti allargati… sono questi gli elementi, le identità con cui dobbiamo confrontarci, se vogliamo offrire qualcosa di nuovo e competitivo.
Oggi l’attività di consulenza deve essere un sistema complesso, aperto, molto ben organizzato, gestito in modo che consenta una permeabilità mentale e strutturale, un’estrema flessibilità e una buona dose di creatività.
Creatività nel campo medico-farmaceutico
Cosa c’è di creativo nel seguire le normative in ambito medico-farmaceutico? Molto più quel che si pensi: ogni volta che si prospetta un ostacolo, di qualsiasi natura esso sia, la soluzione è sempre un’opera di creatività, oltre che di competenza.
Tutto questo impone l’acquisizione di una dinamicità, di una velocità di pensiero, di una spiccata capacità di sintesi, l’esigenza di attribuire alla propria attività un dinamismo prima sconosciuto. Il lavoro non è sempre lo stesso e neanche le persone che lo fanno lo sono.
Tutto cambia giorno dopo giorno e continuamente. Ecco, nel nostro spazio lavorativo, quello dei servizi regolatori, vedo proprio questo tipo di dinamismo, che ci costringe a vedere giorno dopo giorno le cose in modo differente.
Sono le nuove norme promulgate che ci costringono a farlo, l’atteggiamento delle aziende alla ricerca di nuovi mercati, l’assunzione e la scelta del personale, i rapporti con il consumatore e così via.
Il rapporto non è più di causa-effetto, ma è un fare multitasking, legato alle probabilità, agli avvenimenti imprevisti che devono essere subito metabolizzati nel sistema.
E beato chi dice che lavorare è noioso!
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